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Il toponimo "Cartoceto"



Il suffisso -et / -eto pone il nome Cartoceto fra i cosiddetti fitonimi, o fitotoponimi, ossia quei nomi di luogo che traggono la loro origine dal nome di una pianta.

Si tratta di una caratteristica alquanto diffusa nelle Marche: si pensi a Loreto (da lauro), Ginestreto (da ginestra), Rovereto (da rovere), Meleto (da melo), Cerreto (da cerro) e così via; come esempio, possiamo portare anche termini quali uliveto, vigneto, castagneto, noceto, canneto, frassineto, acereto, pineta, ecc. Quale pianta diede quindi il suo nome a Cartoceto?

Già nel XIX secolo, il conte Camillo Marcolini indicò come probabile una derivazione dal carice, in latino carex e volgarmente detta panicastrella, una pianta erbacea monocotiledone diffusissima e della quale esistono centinaia di varietà. Un terreno ricco di carici si chiama dunque cariceto ed il Marcolini notava come, ai suoi tempi, il nome del paese nel dialetto locale fosse Carcét. Nei documenti in latino, il nome appare come Carticeti o Carticetum: rispetto al fitonimo qui sopra ricorda, si nota dunque la sola aggiunta di una -t. Quindi “Cartoceto”, luogo di carici. Anche l'eminente ricercatore Giovanni Pelosi concorda con questa interpretazione. Senza dover ricorrere ad ipotesi ed etimologie fantasiose, egli è concorde nel ritenere più sensato “riportarsi, appunto, alle situazioni reali, con cui gli antichi abitanti convivevano e che segnavano la loro esistenza umana o religiosa”[1]. Il Pelosi ci offre poi un'ulteriore spunto di indagine nel ricordarci che, in passato, il carice era uno dei materiali utilizzati per coprire i tetti delle case e delle capanne[2]. Nei documenti medievali è possibile riscontrare l'espressione domus carticinea tecta, ossia “casa ricoperta di paglia”. Da carticinea si può agevolmente dedurre carticinetum, “luogo con case dai tetti di paglia”, e da qui carticetum.

Da questa osservazione passiamo ora alla seconda ipotesi, la quale poi non si discorda più di tanto dalla precedente, come dice lo stesso Pelosi. Carla Mercato, docente di Linguistica Italiana presso l'Università degli Studi di Udine, suggerisce che il toponimo Cartoceto possa essere un derivato dal latino crates-craticius, “fatto di graticcio”, “infraticciato”, con l'aggiunta di -eto quale suffisso collettivo[3]. A crates-craticius si collega il termine opus craticium, ossia una delle tre tecniche edilizie deperibili dall'epoca romana (le altre sono il pisé e l'adobe). La definizione, oggi in uso, di opus craticium è in realtà anacronistica e forse impropria, trattandosi di un conio moderno[4], mai attestato nelle fonti letterarie antiche. Negli autori latini[5] si trovano utilizzate espressioni di vario genere, quali paries craticius - o anche il semplice craticius - in Vitruvio[6], oppure cratis parietum in Plinio il Vecchio[7] ed Isidoro di Siviglia[8], o ancora craticiis podis in Palladio[9] (con diretto riferimento al loro impiego nella costruzione di granai): termini questi tutti derivanti dal vocabolo crates, con cui si indicavano i graticci parietali, solitamente realizzati con l'ausilio di canne palustri, carici o ramaglie che, unite strettamente insieme per mezzo di cordami, andavano a costituire l'armatura interna della struttura. Si può quindi dedurre la presenza, nell'Alto Medioevo, di strutture abitative in “opus craticium” a formare il nucleo primitivo della futura Cartoceto? Tutto ciò è certamente possibile ma purtroppo, in assenza di prove dirette, storiografiche o archeologiche, rimaniamo nel campo dell'ipotesi. Certo è che l'usanza di costruire strutture in terra e paglia, nell'ambiente rurale, è rimasta costante nelle nostre zone per secoli e, ancora oggi, se ne possono incontrare alcuni esempi - seppur rari - avviandosi lungo i percorsi che si delineano sui colli metaurensi[10].

Che si prediliga carex o craticium, certo è che nel nome Cartoceto troviamo l'indicazione di un'origine umile, di un primitivo villaggio rurale di contadini, coloni o anche allevatori di suini o semplici guardaboschi, caratterizzato da casette, capanne o casupole in legno e molto povere, rivestite impastando fango, malta e argilla con paglia, carici, canne e fieno, forse su alcuni terrazzamenti ricavati ai lati del colle ove si erge l'attuale centro storico di Cartoceto, non lontano dall'antica Pieve: il villaggio dei cratici, con le case fatte di carice. Solamente nel Basso Medioevo, dopo l'anno 1000, l'importanza strategica del luogo avrebbe favorito la crescita urbana del primitivo villaggio ed il suo successivo incastellamento, che lo avrebbe trasformato in uno dei più importanti baluardi difensivi della città di Fano a nord del Metauro. Volendo citare ulteriori ipotesi, vi è chi ha associato il nome Cartoceto, per significato, a Gerros, fiume che secondo Erodoto lambiva il Nipro (Dniepr), sfociando poi nel Mar Caspio, in congiunzione al fiume Hypakyris, ma studi più recenti sembrano offrire spiegazioni etimologiche differenti per l'origine della parola gerros[11]. Non è con sorpresa quindi che indichiamo anche, a nord di Cartoceto, la presenza del toponimo Scotaneto, che nelle storie che si occupavano del convento del Beato Sante pare che sia il nome più appropriato e generale, così come viene chiamata la chiesa ("ECCLESIA HEC... DE SCOTANETO") nella lapide tuttora esistente che ne ricorda la consacrazione, avvenuta nel 1351[12]. Scotaneto, come risulta anche attualmente dalle carte dell'Istituto Geografico Militare e dai catasti sopra citati, è il nome dato al fianco del colle del Beato Sante che si estende tra la località Passo e il villaggio di Montegiano, forse perché vi crescevano (più rigogliosamente che in altra parti del colle) gli scotani, arbusti di cui venivano raccolte le foglie ricche di tannino per conciare le pelli. Questa denominazione ha fatto credere che la primitiva chiesa, invece che sulla cima del colle, sorgesse nell'ambito del vocabolo Scotaneto[13] e che la chiesa consacrata nel 1351 si riferisca ad un'altra costruzione. Effettivamente il problema si pone ed esso va risolto alla luce della singolare situazione del colle del Beato Sante, tagliato, per così dire, a metà dalla strada a mezzavia che segue la linea divisoria tra le due diocesi di Fano e quella di Pesaro e, come noi fermamente crediamo, tra le pertiche dell'una e dell'altra città. Un convento a cavallo della linea divisoria fin dall'inizio è poco concepibile perché occorreva il permesso dei due vescovi e avrebbe sollevato problemi di giurisdizione, come in seguito avvenne. È assai probabile dunque che esistesse in origine una chiesa nella fascia del colle denominata Scotaneto e che questo nome venisse dato alla nuova chiesa costruita poi sulla cima; la quale venne a trovarsi in una situazione giuridica davvero singolare.


Sono partito volutamente da quelle che considero le due ipotesi più probabili sull'origine del nome Cartoceto, e solo ora si esporranno le altre, forse più famose, ma anche più labili ed incerte, per non dire proprio assurde.

La più classica e - ahimé - più propagandata è quella potetica argomentazione che collega l'origine di Cartoceto alla fin troppo celeberrima Battaglia del Metauro tra Romani e Cartaginesi del 207 a.C. A questa favola si attengono quasi tutti gli storici dei secoli passati. Ancora nel XIX secolo, il canonico Alessandro Billi, nel suo volumetto Ricordo storico di Bargni e Saltara[14], credeva di poter provare l'origine antica di molti paesi della valle del Metauro attraverso l'etimologia del loro nome moderno. Così Cartoceto sarebbe derivato da Carchidon o Carthada, il nome greco di Cartagine; Saltara da saltus Ares (“bosco di Ares”) o saltus aeris (“bosco dei bronzi”, perché qui i soldati cartaginesi avrebbero abbandonato le loro armature); Bargni dal greco barinia, “disgrazia”; Barchi da Amilcare Barca o dalla voce punica barri (“elefante”, vds. barrito); Fratte Rosa da fractas, “truppe sconfitte”; e così via. L'acume della fantasia spetta però allo “storico” Sebastiano Macci da Casteldurante, segnalato dall'Amiani nella sua opera Memorie istoriche della città di Fano: egli fece derivare il nome Cartoceto dal “latino” Carthaginensium coetus, “gruppo di Cartaginesi”, da cui Carthi-cetum, etimologia che avrebbe inoltre spiegato i cattivi rapporti esistenti tra gli abitanti del castello (in quanto discendenti dei Cartaginesi) e la città di Fano (antica colonia romana)[15]! Si tratta chiaramente di ipotesi etimologiche fantasiose e stravaganti, che lo stesso Marcolini nel XIX secolo ebbe modo di bollare come “ridevoli”[16]; purtroppo però, ancora oggi, esse sussistono: talvolta le si trova pure - ohibò - insegnate nelle scuole, oppure nelle guide turistiche, nelle pubblicazioni editoriali, sui siti internet, ecc. Etimologie da non prendere nemmeno in considerazione, giacché priva di qualsiasi fondamento storico, glottologico, filologico o archeologico, tranne che nella mente degli imbelli che vi credono. Dure a morire, come si può notare, ma che in questa nostra trattazione si è inteso demolire definitivamente!

Vogliamo infine indicare che il nome Cartoceto, che attualmente contraddistingue il paese, è solo una delle denominazioni con le quali esso è stato conosciuto negli ultimi ottocento anni. Abbiamo infatti le varianti latine usate nei documenti ufficiali (Carticeti, Cartocetum, Carticetum, Charticetum, Carthicetum, Cartiçeti) e molte variazioni sin dai più antichi documenti medievali (Chardiceto, Cardiceto, Charticieto, Carticeto, Carteceto, Cartocceto, Cartocetto, Cartoccetto).


[1] Pelosi G., Tracce per una storia, in Lucrezia. Tante storie, Fano 2007, cit., p. 14.

[2] “...così Cartoceto con Crates da cui Craticius o con poca differenza di significato con Carex; nel primo caso si tratta di canne, nel secondo di carice cioè pianta erbacea con cui venivano coperti i tetti delle abitazioni antiche presenti nel territorio cartocetano” (Ibidem).

[3] Marcato C., ad vocem Cartoceto, in Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino 1990, p. 148.

[4] Questa definizione compare per la prima volta in Lugli G., La tecnica edilizia dei Romani, Roma 1957.

[5] Per un'ampia e sistematica analisi delle numerose testimonianze letterarie antiche relative alle differenti tecniche edilizie in materiali leggeri, si rimanda a: Magni A., Fonti letterarie sull'opus craticium, in Tesori della Postumia, 1998; Magni A., Edilizia in materiale deperibile in area mediopadana: fonti archeologiche e fonti letterarie, Milano 2000.

[6] Vitruvio, De architectura, II, 8; cfr. Callebat L.-Fleury P., Dictionnaire des termes techniques du De architectura de Vitruve, Hildesheim 1995, col. 31.

[7] Plinii Senioris, Naturalis Historiae, XXXV, 48.

[8] Isidorus Hispalensis, Etymologiae, XIX, 10, 6.

[9] Palladius, Opus agriculturae, I, 19, 2.

[10] Per un approfondimento sul tema, si rimanda a Volpe G., Costruzioni di terra e paglia tra Metauro e Cesano, Fano 2001.

[11] Nello specifico, gerros significherebbe “guado”: vds. Stetsyuk V., Research on Prehistoric Ethnogenetic Processes in Eastern Europe, II, Lvov 2003.

[12] Talamonti, Cronistoria, IV, p. 372.

[13] Così il Talamonti nel manoscritto edito postumo con qualche lacuna nel vol. IV della sua Cronistoria sopra cit. e che noi (che abbiamo completato la stampa dell'opera) nel vol. VII abbiamo cercato d'integrare (p. 221). L'eminente studioso crede che nall'ambito del vocavolo Scotaneto sorgesse una chiesa intitolata a Santa Maria di Scotaneto e che essa vada identificata con la Chiesa della Misericordia di Montegiano, che a lui, vissuto lungamente nel convento del Beato Sante, era certamente nota e che a noi è mancato il tempo di ricercare.

[14] Fano 1866, pp. 5-9.

[15] Amiani P.M., Memorie istoriche della città di Fano, Fano 1751, vol. I, p. 17: “Carticetum vero dictum, quasi Carthaginensium coetus; est ausem Carticetum sub Fano, ab eoque leges habet; Sed adversus Fanenses, qui Romanorum Coloni sunt, non secut hostilem retinens animum, quam Cartaginenses, quorum Colonia Carticetum est, olim adversus Romano”.

[16] Il Marcolini così parlò del Macci: “Nessuno gli darà vanto di critico giudizioso, massimo per le origini cartaginesi da lui sognate e con bizzarre e molto ridevoli etimologie sostenute”, in Marcolini C., Notizie storiche della Provincia di Pesaro e Urbino, 2ª ed., Pesaro 1883, p. 341).

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